Issue 20
Frattura ed Integrità Strutturale, 20 (2012); ISSN 1971-9883
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rent’anni fa, all’ordine del giorno d’una delle primissime riunioni del Gruppo Italiano Frattura, figurava il punto Marchio IGF. Alcuni tra i fondatori del nostro Gruppo – i più entusiasti – si presentarono alla riunione proponendo ciascuno un proprio bozzetto. Dopo un disattento esame degli elaborati, senza procedere a una valutazione comparativa autoreferenziale e pertanto invalidabile, fu facile per il Presidente pro tempore disattendere le aspirazioni degli improvvisati designer senza ferire il loro amor proprio. Un luogo comune mise tutti d’accordo: La guerra è una cosa troppo seria per farla combattere dai generali: un bravo professore, ahimè, non necessariamente è un eccellente comunicatore, un esperto nel campo della meccanica della frattura non necessariamente è un maestro della comunicazione visiva. Un’accoglienza unanime trovò la mia proposta di interessare al nostro problema Franco Grignani. Nato a Pieve di Porto Morone, classe 1908, milanese d’adozione, grafico e fotografo, architetto e pittore, Franco Grignani era noto per i suoi contributi sperimentali nel campo della psicologia della forma – basti pensare alla Pura lana vergine, il più famoso dei suoi logotipi (Fig. 1).
Figura 1 : Franco Grignani, Il marchio Pura lana vergine. Figura 2 : Franco Grignani, Psicoplastica nel campo , acrilico, 1968. Carpire a questo personaggio la promessa di creare il marchio IGF non mi fu difficile. L’avevo incontrato sette anni prima a Milano, l’8 gennaio 1975, alla vernice della sua Mostra “Una metodologia della visione”, alla Rotonda di via Besana. Quell’incontro fu per me un colpo di fulmine. Ancora oggi in me è vivissimo il ricordo. Al cospetto dei suoi Psicoplastici (v. ad esempio la Fig. 2) mi colpisce la violenza del messaggio visivo. Ma non è tutto. Qualche minuto di riflessione e ravviso una sconcertante analogia formale tra la percezione dinamica delle sue strutture modulari risonanti e il processo, a me familiare, di misura spettroscopica delle strutture quantistiche appartenenti al nanoscopico mondo degli atomi. Traumatizzato, vinco la mia timidezza di allora, e mi presento a lui. “Maestro – gli chiedo – come mai le misure di spettroscopia quantistica che noi fisici facciamo in laboratorio, sulle quali poggiano le nostre certezze scientifiche e si fondano gli sviluppi concreti delle nuove tecnologie, rassomigliano in modo così evidente alle illusioni ottiche che provo all’atto della percezione di queste sue strutture indecidibili, ambigue, assurde, inconcretizzabili?” Mi risponde: “Queste opere non sono fatte per essere osservate da persone facilmente impressionabili. E poi. Perché inconcretizzabili? Le tocchi pure, professore!”. Quell’incontro mi turbò profondamente. Le rassicuranti certezze della vita di laboratorio si struggevano come neve al sole. Seguirono notti da incubo: C’era soltanto un modo per uscirne: studiare il problema con l’aiuto di colui che, inconsapevolmente, l’aveva sollevato. Con opere stimolate dai nostri incontri, protrattisi fino alla sua scomparsa nel 1999, Franco Grignani è riuscito a rendere per_cepibile visivamente la rappresentazione fedele di strutture precluse ai nostri sensi: di strutture e di concetti che, come scriveva negli anni Venti del secolo scorso Werner Heisenberg, uno dei padri della meccanica quantistica, non si prestano ad essere facilmente com_presi utilizzando il linguaggio ordinario i cui concetti derivano dall’esperienza della vita di ogni giorno. Custodisco gelosamente le rappresentazioni dinamiche dei sistemi quantistici bistabili sviluppate da Grignani. Mi riferisco ad esempio alla rappresentazione (Fig. 3) del quantum bit – il qu-bit ovvero l’unità elementare del quanto di
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